30 settembre 2011

Milan, l'Ibra-dipendenza non si cura: ci si convive!


Che Zlatan Ibrahimovic non sia un giocatore come gli altri, credo sia anche inutile sottolinearlo più di quanto abbia già fatto il campo in tutti questi anni. Certo, i suoi detrattori potrebbero sottolineare la sua inconsistenza sul palcoscenico europeo e la mancanza di risultati al di fuori dei confini nazionali, ma anche se questo è certamente vero non si può ignorare come in qualsiasi squadra lo svedese abbia militato sia arrivato a fine anno lo scudetto, con lui indiscusso protagonista.

Ibrahimovic, insomma, rappresenta un fattore. Puoi amarlo o odiarlo, ma lui è indiscutibilmente uno di quelli che spostano gli equilibri: chi lo ha in squadra vince lo scudetto, e soprattutto chi lo ha ne diventa spesso dipendente. E' successo all'Inter di Mancini prima e Mourinho poi, sta succedendo oggi al Milan, non è successo a Barcellona, dove anzi ci fu una sorta di crisi di rigetto figlia di un peccato originale che portò all'inserimento (per Eto'o e tanti soldi) di un fuoriclasse anarchico nella più efficiente orchestra che la memoria calcistica umana ricordi.


Il mezzo fallimento di Ibra in Catalogna (dico mezzo, perchè alla fine i suoi 16 gol li fece anche lì) se possibile rafforzò ancora di più il concetto espresso prima: in una squadra che faceva e fa tutt'ora del gioco la sua forza, con fuoriclasse straordinari ma tutti funzionali all'esecuzione dello spartito, Zlatan ha fatto fatica e probabilmente Guardiola ne ha fatta con lui, fino alla rottura che ha poi portato alla sua cessione in saldo al Milan.

Un Milan che ben presto Allegri ha costruito su misura per lui, aggrappandosi spesso alle sue invenzioni quando il gioco stentava a decollare e la prima ed unica opzione finiva con l'essere "palla a Ibra, e ci pensa lui". Pian piano il gioco è migliorato, il livello della squadra si è alzato e la marcia è proseguita fino alla vittoria del tricolore, ma la griffe di Zlatan sul titolo è stata netta, profonda, indelebile: come era già avvenuto sull'altra sponda del Naviglio, la dirompente forza del centravanti svedese ha reso anche la squadra rossonera sofferente di Ibra-dipendenza. Una patologia che può essere dolcissima, ma che spesso maschera a tal punto i difetti strutturali di una squadra da creare disagi quando, per un motivo o per un altro, l'attaccante marca visita come è successo nell'ultimo periodo.

Lasciando perdere la gara contro il Barcellona, che anche con Ibra in campo sono certo che avrebbe avuto la stessa evoluzione, contro Napoli, Udinese e Cesena si è visto al di là del risultato finale quanto grande sia il vuoto che l'assenza di Ibrahimovic lascia lì davanti. In Champions, contro i cechi del Viktoria Plzen, la squadra pur non giocando bene ha ritrovato il fulcro dell'intera produzione offensiva, e lui ha deciso la gara procurandosi e trasformando il calcio di rigore dell'1-0, e mandando in porta con una magia Cassano per il raddoppio.

Delle tante assenze rossonere, certamente questa era la più pesante e quella davvero impossibile da fronteggiare. A quanto pare, a meno che non sei il Barcellona, all'Ibra-dipendenza non c'è una vera cura se non quella di continuare a soffrirne, tenendolo in campo il più possibile e godendosi le sue giocate e i suoi gol. In fondo, non è poi così male no?

1 commento:

  1. Più che Ibra-dipendenza il concetto è più complesso: questo ragazzo, alla soglia dei 30 anni, non ha ancora dimostrato un vero carattere. Sparisce nelle situazioni più delicate, cioè quando i vari Platini e Maradona, tanto per citarne due, facevano capire a tutti cosa significava essere un campione e cosa un buon giocatore.

    Soffre gli ambienti più caldi e non incide mai nelle partite che contano. Ormai sono 7 anni che lo ripetiamo, dunque non può essere un caso.

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