29 maggio 2010

20 anni dalla tragedia dell'Heysel: per non dimenticare..


Anniversario triste, quello che cade oggi nel mondo del calcio: sono passati 25 anni esatti da quando si scrisse una delle pagine più drammatiche della storia di questo sport.

Stadio Heysel di Bruxelles, finale dell'allora Coppa dei Campioni: di fronte, la Juventus di Platini a caccia del suo primo trionfo nella massima competizione europea e il Liverpool, che si era già imposto 4 volte e che solo l'anno prima aveva inflitto alla Roma una tremenda sconfitta ai rigori nella finale dell'Olimpico.

La tragedia si consumò poco prima del fischio d'inizio: una carica degli hooligans inglesi fu alla base di quello che accadde poi, con muretti crollati sulla folla, gente schiacciata nella calca ed uno scenario apocalittico che ha reso lo stadio belga teatro di morte e disperazione. Il bilancio finale fu di 39 morti (di cui 32 italiani), ed oltre 600 feriti: follia pura.

La designazione dello stadio Heysel da parte dell'UEFA fu criticata da entrambi i club: la struttura era fatiscente, priva di adeguate uscite di sicurezza e di corridoi di soccorso. Il campo di gioco e le tribune erano mal curati, con assi di legno sparse per terra, e muretti divisori ormai vecchi e fragili da cui si staccavano pezzi di calcinacci.


Ai molti tifosi italiani, buona parte dei quali proveniva da club organizzati, fu assegnata la tribuna N, nella curva opposta a quella riservata ai tifosi inglesi; molti altri tifosi organizzatisi autonomamente, anche nell'acquisto dei biglietti, si trovavano invece nella tribuna Z, separata da due inadeguate reti metalliche dalla curva dei tifosi del Liverpool, a cui si unirono anche tifosi del Chelsea, noti per la loro violenza (si facevano chiamare headhunters).

Circa un'ora prima della partita, i tifosi inglesi cominciarono a spingersi verso il settore Z a ondate, cercando il take an end ("prendi la curva") e sfondando le reti divisorie: memori degli incidenti della finale di Roma di un anno prima, si aspettavano forse una reazione altrettanto violenta da parte dei tifosi juventini, reazione che non avrebbe mai potuto esserci, dato che la tifoseria organizzata bianconera era situata nella curva opposta.

Gli inglesi sostennero di aver caricato a scopo intimidatorio, ma i semplici spettatori, juventini e non, impauriti anche dal mancato intervento delle forze dell'ordine belga, furono costretti ad arretrare ammassandosi contro il muro opposto alla curva dei sostenitori del Liverpool.

Nella grande ressa che venne a crearsi, alcuni si lanciarono nel vuoto per evitare di rimanere schiacciati, altri cercarono di scavalcare ed entrare nel settore adiacente, altri si ferirono contro le recinzioni. Il muro crollò per il troppo peso, moltissime persone vennero travolte, schiacciate e calpestate nella corsa verso una via d'uscita, per molti rappresentata da un varco aperto verso il campo da gioco. Dall'altra parte dello stadio i tifosi juventini del settore N e tutti gli altri sportivi accorsi allo stadio sentirono le voci dello speaker e dei capitani delle due squadre che invitavano alla calma e in pochi si resero conto di quello che stava realmente accadendo. Un battaglione mobile della Polizia belga giunse dopo più di mezz'ora per ristabilire l'ordine, trovando per il campo e gli spalti frange inferocite di tifoseria bianconera.

La gara finì 1-0 per la Juventus, ma a quel punto il risultato del campo passava davvero in secondo piano. Di quella notte, si ricorderà soprattutto la vergogna di aver trasformato una semplice manifestazione sportiva in un vero e proprio massacro senza precedenti. Ed è per questo che oggi per chiunque ama il calcio, anche per chi non c'era o come me era molto piccolo, dovrebbe essere una sorta di piccola "giornata della memoria".

28 maggio 2010

Mourinho-Inter, tutto in una clausola


Se ne sono dette e sentite tante sull'argomento principale degli ultimi giorni, ovvero il braccio di ferro Mourinho-Inter per il via libera del portoghese verso Madrid: nodo della questione, la clausola liberatoria "bilaterale" inserita nell'accordo ritoccato un anno fa, la quale permette ad entrambe le parti di sciogliere il contratto dietro pagamento di una sorta di penale. Il problema è che questa penale, la quale prima mi risultava ammontasse a 4 milioni, a quanto pare era in realtà molto più corposa: quattro volte tanto, sedici milioncini, budget superiore a quello con cui moltissime società farebbero un'intera campagna acquisti.

E' notizia di pochi minuti fa che la fumata bianca è arrivata: Mourinho è libero di andare al Real Madrid, Perez se ne torna alla casa blanca con la soddisfazione della "missione compiuta". I dettagli della vicenda ancora non sono noti, ma lo saranno presto.

Il discorso fin dall'inizio sarebbe dovuto essere molto lineare, "trasparente", come lo stesso Mourinho affermava quando parlava del nuovo accordo stipulato con la società che di lì a poco avrebbe portato a vincere tutto: se l'Inter avesse deciso di esonerare Mourinho dopo una stagione senza tituli o in seguito a clamorosi fallimenti europei, avrebbe pagato al portoghese una barca di soldi cash, e ognuno per la propria strada; se viceversa, come sta accadendo, fosse Mou a voler cambiare aria, mani ai portafogli (il suo e quello del suo nuovo datore di lavoro) e via libera verso altri lidi.

Peccato che a quanto pare il tecnico non avesse nessuna intenzione di pagare la liberatoria, affidandosi su una parola che a quanto pare il suo presidente gli avrebbe dato in caso di tripletta. Sulla parola di Moratti, non v'è certezza, sulla presenza della clausola incriminata invece i dubbi sono ben pochi.

Ecco qualche battuta dei tre protagonisti della vicenda (Moratti, Mourinho e Perez), che inquadra perfettamente il tipo di situazione che si era andata a creare. Considerato che solo 6 giorni fa la squadra festeggiava un trionfo atteso 45 anni, devo dire che oggi il clima attorno ai due non è proprio quello gioioso e festante che ci si poteva aspettare.

MORATTI - "Vogliamo chiudere bene questa vicenda. Non ho nessuna scadenza per trovare un allenatore. Poi magari ci rimane Mourinho e quindi di uno nuovo non ce n'è bisogno. È giusto sostenere una trattativa che si basa onestamente e lealmente su un accordo tra una persona e una società, quindi io rimango su quel piano. Niente di forzato, ci possono essere delle condizioni, però io credo non sia una posizione antipatica o di voluta durezza, ma solo il fatto che noi saremmo andati volentieri avanti con Mourinho e nessuno brontolava. Mourinho con noi è stato spettacoloso, gli siamo assolutamente molto riconoscenti ma questo non toglie che esiste un rapporto fra la società e Mourinho e come tale è diverso dalla stima nei suoi confronti"

Tradotto: Josè, pagare per vedere cammello. In questo caso il cammello è, manco a dirlo, il Madrid.

FLORENTINO PEREZ - “Non so quando arriverà Mourinho ma sono certo che sarà il nostro allenatore. Devono risolvere la questione legata ad un’interpretazione distinta di una clausola del contratto, e sono sicuro che lo faranno. E se non ci riusciranno tra di loro lo faranno con l’intervento di una terza persona. Io? Diciamo che io posso certamente aiutare. Pagando? Ho detto aiutare, non pagare. Un aiuto è un aiuto. Alla fine si tratta di un equivoco e sono sicuro che troveranno un’intesa. Poi presenteremo Mourinho, diciamo che si può ipotizzare la cosa per la prossima settimana. Del resto non c’è fretta. Ora i giocatori o sono in vacanza o sono al Mondiale, questo per il club è un momento di tranquillità”

Tradotto: Uno sconticino su Sneijder, qualche agevolazione su qualche trattativa e amici come prima.

MOURINHO - “Presidente, non paghi i 16 milioni. Non sono disposto a vederla sborsare questa quantità di denaro. Vorrei che la gente capisse che è finito un ciclo, che fosse chiaro che il mio desiderio è quello di andare al Madrid. Penso che se ne siano resi conto. Io sono già nella storia dell’Inter e l’Inter è nella mia storia: loro sanno come sono e sanno che anche se mi offrissero un nuovo contratto con un salario più alto non cambierei idea. Sanno che non vale la pena lottare per me. Io non voglio uscire male dall’Inter, tutto il contrario. Però ho anche la certezza assoluta che sarò l’allenatore del Real Madrid. Con le buone o con le cattive”

Qui non c'è bisogno di tradurre, sembra fin troppo chiaro. Il punto è: se la stagione fosse di Mourinho fosse finita diversamente, e la società avesse deciso di cambiare guida tecnica, il portoghese avrebbe rifiutato i soldi della buonuscita sulla base di discorsi di tipo morale? Non credo proprio, ma è il solito discorso che si vede con i calciatori: contratti firmati a X euro, poi se la stagione va male rimane tutto com'è, e se va bene si batte cassa minacciando di andar via nel caso in cui non avvengano gli adeguamenti richiesti.

Tra uomini che si sono stimati e che hanno raggiunto insieme grandi risultati, sarebbe importante finirla bene e non metterla solo ed esclusivamente sul piano contrattuale, cercando di mediare e di trovare un accordo che faccia chiudere la questione in modo sereno e ottimale per ambo le parti, ma per come stanno evolvendo le cose non sembra che sia questa la strada intrapresa. E il precedente riguardante l'addio a Mancini ricorda per certi versi quello che sta diventando l'addio a Mourinho, e cioè un finale non all'altezza dell'intera storia.

Intanto, il dato inconfutabile è che il posto sulla panchina nerazzurra è vacante, ed inevitabilmente da riempire. I nomi che si sono alternati in questa settimana sono stati molteplici: Mihajlovic, Capello, Hiddink, Benitez, per un periodo persino Leonardo e Guardiola. Il serbo, inizialmente dato in pole position, a quanto pare si è accasato alla Fiorentina, ed oggi il favorito sembrerebbe Capello, anche se la strada per la nomina del successore del portoghese sembra ancora molto, molto lunga, e non sono esclusi clamorosi colpi di scena.

24 maggio 2010

Inter, storico trionfo a Madrid: è tripletta!


Nella notte di Madrid, due squadre correvano sul filo che separa il buono dallo straordinario, l'ottimo dall'indimenticabile, il bello dall'inimmaginabile. Dopo il triplete centrato dal Barcellona "illegale" di Guardiola, era idea comune che difficilmente un'altra formazione sarebbe stata capace di compiere un'impresa del genere tanto presto.

E invece, ad un solo anno di distanza, Inter e Bayern Monaco si sono giocate un posto nella leggenda del calcio europeo, dopo essersi imposte sia nel campionato che nella coppa nazionale. Fino a qualche anno fa si diceva che era praticamente impossibile anche solo pensare di poter portare avanti le due competizioni principali: bisognava insomma fare una scelta, come il Milan di Ancelotti e il Liverpool di Benitez, che mollavano i campionati concentrandosi sulla coppa, ottenendo tra l'altro ottimi risultati.

Gli ultimi due anni hanno insegnato come invece sia possibile, con le giuste coincidenze favorevoli nei momenti clou della stagione, arrivare in fondo senza tralasciare nulla, ma rischiando di perdere tutto, come del stava succedendo anche a Bayern ed Inter.

La squadra di Mourinho, tanto per restare nei confini nostrani, ha raggiunto Madrid proprio quando fino a pochi giorni prima si stava andando dissolvendo lo scudetto, che prendeva la strada di Roma dopo che i nerazzurri avevano dilapidato 14 punti di vantaggio, con il ritorno della semifinale al Camp Nou che non prometteva nulla di buono. Il Bayern dal canto suo deve ringraziare la cronica incapacità di vincere dello Schalke, che dopo essere balzato in testa si è letteralmente vaporizzato fino a consegnare il titolo ai bavaresi con una giornata di anticipo.

Tra i tedeschi e l'Inter, tecnicamente parlando c'era una grossa differenza, ma questo in una finale di Champions League conta fino a un certo punto. E sul campo infatti, la differenza per tutto il primo tempo non si è vista. La tassa Milito però a quanto pare quest'anno andava pagata senza esenzione alcuna, e figuriamoci se i tedeschi, già giustizieri di due nostre formazioni, avrebbero potuto aspirare a uno sconto: sponda, triangolo con Sneijder, finta da attaccante consumato e tocco sotto. Tutto assolutamente perfetto, ed è il gol che spacca la partita.

Nella ripresa arriva però il vero capolavoro del Principe, che chiude i giochi e proietta l'Inter nella storia: lanciato dal solito, generoso fino all'inverosimile Eto'o, l'argentino fa qualche passo, finta di rientrare verso il centro e poi mette a sedere il malcapitato Van Buyten, piazzando il pallone con un pregevole piattone sul palo più lontano. Il 2-0 subito dopo che Julio Cesar aveva fatto il miracolo su Muller farebbe stramazzare anche un toro, ma l'orgoglio del Bayern è qualcosa che va oltre, ed infatti i bavaresi non mollano e continuano a provarci, spinti da un Robben che sulla destra è semplicemente incontenibile, anche se non basta.

Al fischio finale di Webb, per l'Inter è un sogno che si avvera: dopo 45 anni, la Champions League si tinge di nerazzurro, e la tripletta messa a segno è la prima in assoluto di una squadra italiana.

Evidenti i meriti di Mourinho in questo trionfo di così ampia portata: il portoghese, prossimo tecnico del Real Madrid, è riuscito ad inculcare nella squadra una mentalità vincente, che ha portato i nerazzurri a giocarsela contro tutte le squadre affrontate. La creazione di un gruppo è stata la più grande impresa del tecnico, capace di far fare all'occorrenza anche il terzino ad una potenziale macchina da gol come Eto'o, e creando un impianto di gioco che lascia poco allo spettacolo ma che ha mostrato una solidità impressionante. Al Real che non ha gradito gli scudetti di Capello e Schuster bisognerà vedere adesso quanto piacerà il pragmatismo del portoghese, ma tanto si sa che i tifosi merengues non sono mai contenti.

Certo, gli episodi favorevoli sono stati importanti in questa annata europea a tinte nerazzurre, da Kiev alla semifinale col Barcellona. Senza un pizzico di fortuna però non si va a centrare un'impresa di queste dimensioni, come lo stesso club catalano un anno fa ci ha insegnato col pari a Londra a tempo scaduto. Il salto di qualità dell'Inter versione continentale è stato comunque evidente, già dagli ottavi di finale contro il Chelsea: si potrà parlare all'infinito del possibile rigore dell'andata su Kalou, ma al ritorno la gara dei nerazzurri ha rasentato la perfezione, ed è da lì che forse è cominciato tutto.

Con l'addio di Mourinho si chiude un capitolo storico per questo club, e se ne apre uno nuovo ancora tutto da scrivere. In attesa di sapere chi sarà il nuovo timoniere, intanto, si chiude la stagione perfetta dei nerazzurri, molti dei quali adesso raggiungeranno il Sudafrica per giocarsi il mondiale. Molti, ma non Zanetti e Cambiasso, lasciati a casa da quel Maradona che evidentemente non ha bisogno di gente di questo calibro: del resto, se hai Bolatti, cos'altro vai cercando? Ma questa è un'altra storia..

18 maggio 2010

Lippi, due tagli e un applauso


"Non faccio la nazionale coi debiti di riconoscenza"

Il Lippi che non ti aspetti. O perlomeno, che io non mi sarei mai aspettato.

In quella sorta di Grande Fratello sportivo che è la composizione dei 23 della spedizione mondiale, il ct azzurro ha dovuto operare altri due tagli, riducendo da 30 a 28 il numero dei partecipanti al ritiro di Sestriere in programma dal 23 maggio al 4 giugno. I due accantonati sono Candreva e, udite udite, Fabio Grosso.

Proprio lui, l'eroe del mondiale tedesco, la cui convocazione persistente e incondizionata aveva scatenato critiche aspre da parte del sottoscritto su questo blog. Vedevo in Grosso una sorta di intoccabile, un mammasantissima del gruppo azzurro che comunque sul volo per Johannesburg sarebbe salito nonostante sia ormai un ex-terzino che ha avuto una stagione di gloria e poco altro, ma a quanto pare Lippi ha saputo stupirmi, in positivo.

Nessun debito di riconoscenza, e così Grosso resta a casa per il motivo più semplice, ovvero perchè, così come Cannavaro, è un calciatore impresentabile. Quello che salverà il fondoschiena all'esoscheletro del difensore napoletano è da un lato la fascia di capitano, dall'altro la penuria di difensori centrali, che fatto fuori Legrottaglie si riducono a Chiellini, Bonucci e Bocchetti.

Rimangono adesso da scegliere i 23 più le riserve, poi la rosa sarà completa e definitiva. Intanto, Lippi oggi agli occhi del sottoscritto ha guadagnato un punto importante, dopo tante critiche.

Siena come Parma, festeggia ancora l'Inter!


Non è successo, anche se come due anni fa la Roma è stata campione d'Italia per un lasso di tempo ragionevole per dare corpo al sogno impossibile. In un pomeriggio di metà maggio, Siena sarebbe potuta diventare qualsiasi cosa: una nuova Perugia, una nuova Parma, o peggio ancora un remake di quel 5 maggio che ancora oggi, a rimembrarlo, fa tremare i polsi del tifoso nerazzurro.

A Verona si perde l'interesse per la gara già a metà del primo tempo: le reti di Vucinic e De Rossi, sommate ad un Chievo che giocoforza non aveva più nulla da chiedere a questo campionato, avevano di fatto ridotto a zero la suspence, proiettando le sorti del campionato esclusivamente sull'esito della gara del Franchi. La dicotomia è banalissima: Inter vince, scudetto a Mourinho, Inter non vince, scudetto a Ranieri.

Il punto è che la formalità dello scontro tra la prima della classe e la già retrocessa formazione toscana risulta tutt'altro che una formalità: Ekdal grazia Julio Cesar e l'Inter tutta, Maccarone è velenoso ad ogni affondo, e Curci, pali ed imprecisione fermano Balotelli e Milito. Siena come Perugia? A fine primo tempo, la situazione è più o meno quella che costò alla Juve il tricolore 10 anni fa: Inter 80, Roma 80, scudetto ai giallorossi per gli scontri diretti a loro favorevoli.

Iniziano i 45', ma i nerazzurri fanno una fatica immane a perforare la retroguardia senese. A Verona tutto tace, ma sotto sotto lo slogan "non succede, ma se succede.." va tramutandosi in un interrogativo più possibilista "che stia succedendo?".

Poi arriva il momento di pagare la tassa fino a quel momento abilmente evasa: la tassa Milito. Come Ibrahimovic nella palude di Parma, l'argentino reindirizza il campionato sulla strada di Milano: lo fa con un gesto da attaccante vero, sfruttando una percussione di un Zanetti monumentale. Basta e avanza, perchè il Siena tramortito dalla rete del Principe non riesce più ad abbozzare una reazione, lasciandosi andare e rischiando anche il colpo del 2-0. Non arriva, ma la sostanza non cambia: Siena è ancora teatro di scudetto, uno scudetto meritato per i valori espressi in campo ma che mai come quest'anno è stato in serissimo pericolo.

Già, perchè il sorriso di Ranieri a fine partita in sala stampa fa a pugni con quello che dovrebbe essere lo stato d'animo di chi ha preso uno scudetto e lo ha letteralmente gettato nella pattumiera. Il testaccino si dice contento, felice per quello che la Roma ha fatto in questo campionato, ma ripensando a quel Roma-Sampdoria non può non esserci la delusione per quello che poteva essere ed invece non è stato.

L'Inter è la più forte, l'Inter è stata costruita per vincere, ma questo non può e non deve essere una giustificazione per chi ad un certo punto aveva le sorti del campionato saldamente nelle proprie mani, ed ha deciso di fare dell'autolesionismo proprio quando il sogno era lì, a portata di mano. Una volta completata la rimonta, e scavalcato i nerazzurri in vetta, che la squadra di Mourinho fosse più forte a quel punto non contava proprio più nulla, anche se è fuor di dubbio che questo scudetto sia andato sulle maglie della formazione qualitativamente migliore del campionato.

Cala così il sipario sulla serie A 2009/10: in Champions League assieme ad Inter, Roma e Milan, ci va la Sampdoria, con Delneri e Marotta che salutano da vincenti e virano verso Torino per tentare di ricostruire una Juventus decisamente migliore di quella orribile vista quest'anno. Al Palermo di Delio Rossi rimane l'amaro in bocca per i record stabiliti nella storia del club, che però sono valsi solo il quinto posto che vale l'Europa League assieme al Napoli e appunto alla Juventus, che partirà dai preliminari. Retrocedono Atalanta, Siena e Livorno.

E adesso, in attesa della finale di Champions League e dei mondiali sudafricani, faccio un arrivederci a quello che una volta era il campionato più bello del mondo, e che ancora continuo a sperare che possa ridiventarlo. Alla prossima edizione.

13 maggio 2010

Juve, Delneri significa rivoluzione


Si è partiti da Benitez, passando per Allegri, Prandelli e addirittura Capello, ma alla fine sembra proprio che sarà Luigi Delneri il prossimo allenatore della Juventus. Il tecnico friulano, artefice della straordinaria stagione che ha portato la Sampdoria a giocarsi (e probabilmente a raggiungere) uno storico quarto posto che vuol dire Champions League, dovrebbe arrivare assieme a Marotta, che assumerà la carica di dg in quel processo di rifondazione che ripartirà dalla nomina di Andrea Agnelli a presidente del club.

L'arrivo di Delneri sulla panchina della Juventus significherebbe un cambio netto nel sistema di gioco (o di non gioco, vista l'annata bianconera) che si è provato a varare prima con Ferrara e poi con Zaccheroni, con una campagna acquisti che di conseguenza verrebbe calibrata in base alle esigenze del nuovo allenatore, da sempre legato ad un 4-4-2 con esterni di centrocampo molto alti (quasi un 4-2-4).

Il progetto Juve 2009/10, che ha portato ad uno dei fallimenti più colossali della storia centennale della squadra torinese, si imperniava sul cosiddetto "rombo", con il passaggio dal 4-4-2 di Ranieri a quel 4-3-1-2 che avrebbe dovuto avere nel brasiliano Diego l'elemento cardine dell'intera produzione offensiva. Tutti abbiamo però visto come è andata: paradossalmente, nel Titanic bianconero l'equivoco maggiore è stato rappresentato proprio dal trequartista prelevato dal Werder Brema, nonostante le maggiori critiche siano arrivate per l'altro brasiliano preso la scorsa estate, ovvero Felipe Melo, e il suo impiego costante (anche quando il ritorno al vecchio 4-4-2 avrebbe potuto salvare capre e cavoli) alla lunga è risultato un problema che è costato un pezzetto di panchina a Ferrara.

Di certo, in una Juventus targata Delneri non ci sarebbe posto per uno come Diego, che non è un centrocampista, non è una punta, ma è un trequartista che difficilmente può trovare una collocazione differente che non sia dietro due punte (o una). Il pesante investimento di 25 milioni di euro affrontato dalla premiata ditta Blanc-Secco-Elkann rischia così di trovarsi sul mercato, e appare chiaro, alla luce dell'annata negativa del brasiliano, che una cessione potrebbe arrivare solo attraverso una consistente svalutazione del suo cartellino: insomma, una "minusvalenza" di quelle che generalmente le società tendono ad evitare per non intossicare il bilancio.

Chi invece potrebbe rilanciarsi sotto la gestione del tecnico di Aquileia è proprio quel Felipe Melo strapagato da quei geni di cui sopra che andavano cercando un regista, ma che come mediano in un 4-4-2 potrebbe rivelarsi un elemento di assoluta importanza, spalleggiato magari da un costruttore di gioco (come lo era Corini nel Chievo, per intenderci) e non da Sissoko che francamente sembra più una controfigura del brasiliano che un elemento a lui complementare. Emerson e Vieira, per fare il paragone con la Juventus di Capello, rappresentavano in tal senso un binomio perfetto a cui la proprietà dovrebbe ispirarsi per costruire l'ossatura della Juventus che verrà.

Gli esterni di centrocampo, dicevamo. Nel sistema di gioco di Delneri rappresentano l'ingrediente chiave e la fonte primaria di rifornimenti alle punte, ma nella Juventus attuale francamente le corsie sembrano decisamente scoperte. Camoranesi darà l'addio alla maglia bianconera a fine stagione, Salihamidzic probabilmente farà altrettanto e comunque non rappresentebbe certo una opzione credibile, il resto è il deserto assoluto.

Per questo, gli sforzi maggiori della società andrebbero compiuti proprio per rimpolpare le fasce di elementi funzionali al nuovo progetto, monetizzando magari grazie a cessioni di elementi che invece non rientreranno nei piani del nuovo tecnico (senza contare i possibili addii di Trezeguet e Buffon che porterebbero moneta sonante nelle casse). Sarà interessante poi vedere cosa ne sarà di Caceres, che ha dimostrato ottime qualità ma per il quale il Barcellona chiede un riscatto importante, di Candreva, il cui cartellino è ancora per metà dell'Udinese, e di Giovinco, che difficilmente digerirebbe una nuova annata da non-protagonista.

La scelta di Delneri di certo è una scelta che almeno sulla carta stride con quella iniziale, ovvero affidare la panchina ad un tecnico vincente e abituato a lottare per certi obiettivi (Benitez). Il tecnico della Sampdoria è durato un mese ad Oporto, ed è finito nel tritacarne a Roma, dove non è riuscito a imporre le sue idee e ha finito con il dimettersi dopo 24 partite, anche se lì subentrò a Voeller in una situazione già parzialmente compromessa.

Insomma, la sua prima esperienza in una grande sarebbe proprio quella bianconera, con una squadra da costruire e tanti problemi da risolvere, e per questo un tale progetto andrebbe costruito senza i proclami che hanno contraddistinto il precedente, lasciando il giusto tempo al nuovo tecnico per plasmare la nuova squadra.

Il tifoso bianconero, è chiaro, vuole vincere e vuole tornare a farlo presto, forse anche prima di quanto realmente la squadra possa fare. Ranieri stava cavando il sangue dalle rape, nonostante una rosa non competitiva per lo scudetto e una marea di infortuni, e nonostante questo è stato cacciato perchè i tifosi non lo sopportavano più: non sarà un vincente, ma con quella Juve non credo che altri avrebbero fatto tanto di più.

La realtà è che questa Juventus è un cantiere aperto, e per tornare ad essere competitiva dovrà cambiare tanto, e in tutti i reparti: ciò significa che difficilmente potrà tornare subito competitiva ai massimi livelli, colmando il gap dall'Inter in una sola campagna acquisti. Per questo motivo, se Delneri sarà, andrà fatto lavorare nelle condizioni migliori possibili, per non rischiare nuovi fallimenti che porterebbero ad un nuovo, tremendo punto e a capo.

Chiudo con una considerazione sulla "bomba" lanciata da Tuttosport riguardo il possibile ritorno di Ibrahimovic alla Juventus: a mio parere, una balla colossale. Lo svedese percepisce 11 milioni l'anno, costa una 40ina di milioni ma soprattutto, sarebbe disposto a lasciare Barcellona dopo solo un anno per andare a giocare in una squadra che non disputerà neanche la Champions League (suo chiodo fisso)? Francamente, mi pare un tantino difficile.

12 maggio 2010

Italia, il cerchio si stringe: ecco i 30 convocati

La prima grossa scrematura in vista del mondiale sudafricano è finalmente arrivata. Adesso non si scappa, dai 30 uomini inseriti nella lista consegnata alla Fifa usciranno fuori i 23 che prenderanno parte alla rassegna iridata. Poche sorprese (eccetto l'esclusione di Legrottaglie), nessun colpo di scena, e una nazionale che così com'è non credo abbia grosse chance di difendere quel titolo conquistato in Germania quattro anni fa.

Questi i 30 elementi, da cui ne verranno tagliati sette con la successiva lista il 18 maggio (anche se quattro elementi resteranno aggregati al gruppo come "riserve", nel caso in cui ci fosse qualche forfait):

Portieri: Buffon, De Sanctis, Marchetti, Sirigu.

Difensori: Bocchetti, Bonucci, Cannavaro, Cassani, Chiellini, Criscito, Grosso, Maggio, Zambrotta.

Centrocampisti: Camoranesi, Candreva, Cossu, De Rossi, Gattuso, Marchisio, Montolivo, Palombo, Pepe, Pirlo.

Attaccanti: Borriello, Di Natale, Gilardino, Iaquinta, Pazzini, Quagliarella, Rossi.

La difesa è il reparto che incute i maggiori brividi in vista delle gare clou: come dicevo in passato, pensare ad un Cannavaro di fronte a gente come Villa, Torres, Kakà, Messi, Aguero e Rooney è follia, ma è esattamente quello che succederà visto che l'alternativa è Bonucci che deve ancora dimostrare di essere pronto a certe sfide.

A centrocampo, si vive di Pirlo e De Rossi, con la speranza che il Camoranesi azzurro sia la copia ristrutturata del Camoranesi visto quest'anno alla Juve, anche perchè è un calciatore che a questa nazionale serve come il pane: il resto è tutto un punto interrogativo. Gattuso obiettivamente non si può guardare, ma qualcuno aveva dubbi sulla presenza di Ringhio? No, nessuno. Sono le leggi non scritte del gruppo di Lippi, quello in cui le porte sono aperte a tutti: ovviamente a tutti quelli che dice lui, ma questo è un discorso già trattato su questo blog fino alla nausea. Insomma, Ambrosini che da solo ha tenuto in piedi (finchè ha potuto) il centrocampo del Milan guarderà i mondiali comodamente da casa o da qualche località balneare, mentre la sua riserva partirà per il Sudafrica dopo una stagione in cui il campo lo ha visto col binocolo.

Pochi appunti da fare riguardo il reparto offensivo, considerato che Cassano e Balotelli non sono mai stati minimamente in corsa per una maglia e quindi di loro è ormai anche inutile parlare ancora. Tolti loro due, lasciati per fortuna a casa Totti (che comunque farà i campionati estivi di Taekwondo) e Amauri, i sei uomini scelti sono esattamente quanto di meglio offrisse il mercato, sperando che i vari Di Natale, Gilardino e Pazzini mantengano lo stato di forma che ne ha contraddistinto la stagione nelle rispettive squadre di club. Occhio a Rossi, può essere la sorpresa.

Questa la formazione che mi piacerebbe vedere al mondiale, anche se so che alcune sono delle vere e proprie utopie: Cannavaro, Grosso e Zambrotta difficilmente resteranno fuori solo perchè Maggio e Criscito corrono il triplo di loro.

Football Fans Know Better

08 maggio 2010

Amarcord: ricordavate? Manchester-Bayern '99

Ecco ritornare, dopo un tempo incalcolabile, una rubrica a cui tengo parecchio ma che per questioni di tempo non ho potuto curare settimanalmente ma solo giocarmi come "jolly" occasionale quando mi balzava in testa qualche idea da pubblicare.

Nella fattispecie, la riesumo dal dimenticatoio in un periodo in cui avrei voluto scrivere molto di più ma l'università non mi ha lasciato troppo respiro per aggiornare questo blog coi gesti di Taekwondo di Totti, i vari botta e risposta Roma-Inter, l'evoluzione del processo Calciopoli e le crisi nervose di un Leonardo esasperato, ma ci sarà tempo.

La finale di Champions League del 22 maggio si avvicina, e mi è tornata alla mente una gara che sicuramente è passata alla storia come la più clamorosa delle finali del massimo torneo continentale.

E' il 26 maggio 1999, di fronte Manchester Utd e Bayern Monaco che già si erano affrontate nel girone di qualificazione, con un doppio pareggio che comunque non ostacolò la corsa delle due squadre verso la fase ad eliminazione diretta (il girone lo vinsero i tedeschi, con i Red Devils dietro di un punto).

Alla finale del Camp Nou gli uomini di Ferguson arrivarono eliminando prima l'Inter (vincitrice del suo girone, ma tramortita dall'esonero di Simoni e il passaggio a Lucescu, una delle tante perle della prima era Moratti), poi la Juventus (grande nello strappare il pari a Old Trafford, ma vittima di un suicidio di gruppo che permise agli inglesi di rimontare lo 0-2 di Torino firmato Inzaghi); il Bayern ebbe un compito più agevole, facendo fuori prima la Dinamo Kiev nei quarti, poi il Kaiserslautern in semifinale.

La finale, nonostante il pronostico pendente per i Red Devils, fu dominata dai bavaresi. Passati in vantaggio dopo 5' con una punizione di Basler, la squadra di Hitzfeld colse due legni clamorosi con Scholl e il gigante Jancker, che avrebbero potuto chiudere la gara.

Il dramma sportivo dei tedeschi si consuma nei minuti di recupero dopo che Ferguson ha buttato nella mischia, ormai disperato, due punte di razza come Teddy Sheringham e il norvegese Solskjaer. Due corner, due batti e ribatti, due distrazioni della difesa bavarese: proprio i due nuovi entrati scrivono la storia di una finale il cui destino sembrava già compiuto, ma che invece ha riservato un finale inimmaginabile e di una crudeltà sportiva clamorosa.

Spacciato fino al 90', dominato sul campo ma mai domo, il Manchester solleva al cielo della Catalogna il trofeo più ambito, tra le lacrime di Kuffour e la disperazione di un Lothar Matthaus che chiude la sua straordinaria carriera nel modo peggiore possibile. I tedeschi si rifaranno due anni dopo, battendo ai rigori il Valencia di Cuper nella finale di San Siro, ma quella notte nessun tifoso del Bayern potrà mai dimenticarla.


Bayern Monaco (1-4-2-3): Kahn; Matthaus (80' Fink); Babbel, Linke, Kuffour, Tarnat; Effenberg, Jeremies; Basler (90' Salihamidzic), Jancker, Zickler (71' Scholl).


Manchester United (4-4-2): Schmeichel; Neville, Stam, Johnsen, Irwin; Giggs, Butt, Beckham, Blomqvist (67' Sheringham); Cole (81' Solskjaer), Yorke.

03 maggio 2010

Lazio, ancora pollice verso?


Apriti cielo, la Lazio non si è giocata la partita e ha spalancato all'Inter le porte del tricolore: scandalo, orrore, vilipendio, una catastrofe assoluta per il nostro calcio così pieno di valori e che ogni domenica ci regala memorabili perle di sportività!

Questo almeno è il messaggio che è passato attraverso i media e le voci degli addetti ai lavori dopo la serata di ieri, in cui una Lazio assolutamente inconsistente non ha opposto la minima resistenza all'Inter, che col 2-0 firmato da Samuel e Motta ha allungato le mani in modo quasi definitivo sullo scudetto.

Sicuramente tifosi e giocatori biancocelesti non ci hanno fatto una bellissima figura agli occhi di un mondo sostanzialmente ipocrita in cui a criticare e a fare i moralizzatori sono tutti dei maestri, anche se in realtà di episodi del genere (magari meno eclatanti) se ne sono visti e se ne continueranno a vedere finchè il pallone continuerà a rotolare sul rettangolo verde. Certo, la tifoseria laziale ha dato vita a 90' quasi surreali, con striscioni ironici (come quell'"Oh, noooo" dopo i gol dell'Inter), e cori come il "se vincete ve menamo" che la dicevano lunga sulle inclinazioni dei supporters riguardo questa gara.

Dopo il derby rovente, uno scenario del genere era quantomeno ipotizzabile, senza star qui a dire se sia giusto o meno quanto andato in scena ieri sera. Totti coi suoi pollici versi innescò il parapiglia finale, degenerato poi fuori dallo stadio con accoltellamenti ed altre porcherie che con lo sport non hanno niente da spartire, giustificandosi poi dicendo che "chi non è romano non può capire".

Cosa dirà adesso, il pupone? Come minimo potrebbe spegnere gli animi infuocati utilizzando le stesse parole: del resto lui è romano e potrà capire senza alcuna difficoltà le motivazioni che hanno spinto la Lazio a fargli (quasi) perdere il campionato.

Attenzione, non giustifico la condotta della Lazio, che sicuramente stride con quel concetto di sportività che 8 anni fa gli permise di rovinare la festa scudetto proprio all'Inter: dico solo che al di là delle dichiarazioni dei moralizzatori della domenica va compreso il fatto che quanto accaduto era ipotizzabile, e tutto sommato chi ha giocato a calcio si può rendere conto che ci poteva stare. Chissà, forse se fossi stato un calciatore laziale mi sarei comportato esattamente allo stesso modo.

Si tratta di campanilismo all'ennesima potenza, e qui l'Atalanta fermata dal Bologna sul pari - e quindi condannata alla B, a meno di miracoli - a mio modo di vedere c'entra poco o nulla. La mia personalissima opinione è che la gara dei biancocelesti non sarebbe cambiata di una virgola anche in caso di vittoria dei bergamaschi, e spiego sinteticamente il perchè.

Calendario alla mano, alla Lazio rimangono Livorno fuori e Udinese in casa, ovvero due formazioni che per motivi diametralmente opposti non hanno più nulla da chiedere a questo campionato, mentre gli orobici sono attesi da due impegni proibitivi a Napoli e poi contro il Palermo, squadre superiori e ancora in corsa per piazzamenti europei.

In sostanza, sarebbe cambiato poco, perchè dopo gli strascichi del derby di ritorno solamente una Lazio con l'acqua alla gola avrebbe trovato motivazioni sufficienti a fare da contrappeso alla tremenda voglia di vendetta nei confronti dei giallorossi. Senza il contrappeso, il risultato è stata la Lazio sparring partner di ieri sera.

E mentre in tutta Italia la faccenda ha assunto le proporzioni di un caso di Stato, mi chiedo: tutti i lapidatori occasionali, cosa avrebbero fatto al posto dei biancocelesti? Ce la vedete una Roma che a parti esattamente invertite dà l'anima pur non avendo obiettivi, al solo scopo di favorire la Lazio? Ce lo vedete un Torino salvo e spensierato che gioca alla morte contro il Milan, rivale della Juventus per un ipotetico scudetto? Stesso discorso per ogni accesa rivalità stracittadina, è inutile girarci attorno.

Inutile poi puntualizzare come l'Inter in tutto questo discorso c'entri poco o nulla. I nerazzurri hanno certamente beneficiato del clima amichevole creatosi, ma non è un qualcosa che è dipeso da loro in alcun modo. Fa quasi sorridere la Sensi che parla di Inter che "dovrebbe vergognarsi di vincere così", quando lei per prima sa benissimo che non è certo con loro che deve prendersela per lo spettacolo di ieri sera. Tra l'altro, i rapporti di forza tra le due squadre sono talmente evidenti che la partita avrebbe potuto prendere lo stesso indirizzo anche senza la cornice biscottata disegnata per l'occasione dalla curva biancoceleste.

Di certo c'è che a fine stagione, puntualmente, accadono sempre cose strane. Risultati già scritti e non quotati dalle agenzie di betting (vedi Chievo-Catania), gare dall'esito finale clamoroso e decisivo per la classifica finale (vedi la Reggina, che per due anni di fila si salvò grazie alla squadra campione d'Italia), e tante altre storie che rendono Lazio-Inter una storia già vista, ma che fa più rumore solo perchè resa eclatante dal comportamento sugli spalti di una curva fin troppo sovraeccitata.

Come ridurre questo fenomeno generalizzato? Forse pensando di introdurre i playoff per Europa e retrocessione, cercando così di coinvolgere più formazioni possibili fino alla fine della stagione, o aumentando le retrocessioni col ritorno a 4, ma lì poi nascerebbero complicazioni legate all'ulteriore allungamento di un calendario già improponibile. Il mio sogno in tal senso è e credo rimarrà tale: il ritorno della serie A alle care, meravigliose 18 squadre.