25 luglio 2010

Suoneria anti-Lippi: a tutto c'è un limite


Ai mondiali sudafricani abbiamo fatto schifo, e questo è un fatto inconfutabile. Altrettanto inconfutabili sono le responsabilità del ct Lippi, che con delle convocazioni bizzarre ha reso il già proibitivo compito di difendere il titolo conquistato in Germania impresa impossibile.

Fatte queste premesse, credo sia assolutamente stomachevole la pubblicità che ho visto su italia 1 ieri, e che è in circolazione da chissà quanto tempo, nel quale viene insultato Lippi a ritmo di musica, con tanto di invito a scaricare la suoneria VERGOGNA inviando il solito truffaldino sms al numero che compare in sovraimpressione.

Ecco il video, per chi non l'avesse ancora visto:



Come ritenevo ridicola la suoneria celebrativa del mondiale 2006, che comunque poteva starci, ritengo doppiamente ridicola e offensiva questa di suoneria, e mi chiedo se ci sia qualcuno che ha anche avuto il coraggio di scaricarla sul proprio cellulare.

Fossi Lippi prenderei provvedimenti anche di natura legale se è il caso, perchè va bene essere responsabili della disfatta mondiale, ma essere canzonati da una suoneria creata al solo scopo di lucrare mi sembra francamente eccessivo.

23 luglio 2010

Berlusconi e il suo nuovo Milan "difficilmente migliorabile"..

Foto Lastampa.it
Non è dato sapere se fosse serio o ironico, ma la storia recente del Milan fa pendere la bilancia nettamente verso la prima ipotesi. L’arrivo di Silvio Berlusconi al raduno del Milan e le successive dichiarazioni rilasciate ai microfoni hanno lasciato con un palmo di naso un po’ tutti, e la speranza per il tifoso rossonero medio è che dietro tutto questo ci sia una strategia ben precisa che punti al rafforzamento di una squadra che da troppo tempo non è competitiva ai massimi livelli. Difficile che sia così, perché ripeto, la storia recente insegna, ma è giusto lasciare aperta ogni possibilità in attesa di giudicare poi alla luce dei fatti.

Il Milan di Allegri, ad oggi, è sostanzialmente il Milan di Leonardo con un anno in più e con l’aggiunta di tre rinforzi non certo di primissimo piano: Amelia, Sokratis, e il 34enne Yepes. Insomma, tre ritocchi "low cost" che non innalzano certamente il livello medio della squadra e non concorrono a colmare il gap con i cugini nerazzurri, ancora fermi sul mercato ma attualmente di un altro livello.

Chiaro che se poi Berlusconi afferma di ritenere la rosa attuale "difficilmente migliorabile", e il fido scudiero Galliani invece si lascia andare ad un convinto "ci siamo rinforzati", allora il già depresso tifoso rossonero non può far altro che disperarsi ulteriormente di fronte al tunnel in cui sembra precipitata la dirigenza tutta. Una dirigenza che rinnova i contratti di Oddo e Zambrotta, un pò come fece anni fa con Pancaro e Costacurta, il tutto in nome della "grande famiglia Milan" che se prima era considerata un modello da seguire, adesso è vista quasi con tenerezza dagli eterni rivali.

Pur ribadendo l’incedibilità di Thiago Silva (almeno per il momento), il reparto arretrato continua a essere Nesta-dipendente, e vista la salute altalenante del difensore romano questo rappresenta una scommessa bella e buona. E’ impensabile che Yepes possa garantire un rendimento pari a quello di uno dei più forti difensori centrali del mondo, e pertanto almeno un rinforzo di livello servirebbe quantomeno per avere il giusto ricambio nel caso in cui Alessandro alzasse bandiera bianca per i soliti acciacchi fisici.

Le fasce poi, nonostante l’arrivo di Papastathopoulos, sono un pianto greco. Oddo, Zambrotta, Antonini, Abate (centrocampisti adattati da Leo), più l'ex genoano, offrono al neo-tecnico una batteria di soluzioni scadente, senza risolvere l'annoso problema che già tormentava Leonardo, ovvero la mancanza di esterni difensivi.

L’altra bordata che ha colpito in pieno volto gli innamorati rossoneri è stata quella relativa a Ronaldinho, che dopo essere stato dato ad un passo dal ritorno in Brasile è stato definitivamente blindato da Berlusconi, con una frase che farà sicuramente sorridere in modo compassionevole i vari Pelè, Cruijff, Maradona, Van Basten e via discorrendo.

“Ronaldinho è il più grande di tutti i tempi. Per dirla chiara siamo rimasti d’accordo che resterà al Milan fino al termine della sua carriera”. Dunque, secondo il premier Dinho è non solo un giocatore ancora utile a questo Milan nonostante la trippa e la sua incapacità di essere decisivo nelle gare che contano, ma è addirittura il migliore della storia. Dopo aver sentito che il Milan ha perso lo scudetto 2008-09 per colpa di Ancelotti, e che l'anno scorso con lui come tecnico il Milan avrebbe vinto il campionato, non c'è più da stupirsi di fronte al mare di idiozie che il premier riesce a snocciolare ogni qualvolta si tocca l'argomento calcio, anche se devo ammettere che fa sempre effetto sentire certe insensatezze tutte insieme.

Non serve troppa fantasia per vedere già adesso il Gaucho passeggiare insieme a Seedorf sui verdi prati della serie A e d’Europa, facendo venire ulcere peptiche agli imbufaliti tifosi ormai stanchi di vedere un Milan bollito, sopraffatti da domande che non hanno e non avranno mai una risposta. Come ad esempio, perchè tenere Dinho e non sbolognarlo assieme al suo contratto faraonico per arrivare a Dzeko o Ibrahimovic? Perchè continuare a foraggiare gente che ormai vuole solamente svernare? Mistero.

Nell’intervento fiume non sono mancati i diktat all’allenatore, consuetidini che già avevano tediato a morte il povero Ancelotti e il bistrattato Leonardo. Solita solfa, il Milan deve essere offensivo e spettacolare e non deve mai giocare con una sola punta, come se giocare con un centravanti e tre trequartisti dietro fosse sinonimo di catenaccio o di difensivismo a oltranza. Senza contare il fatto che, tanto per essere chiari, un tecnico viene ingaggiato e stipendiato per occuparsi di questioni tecniche (per l’appunto), e pertanto moduli, schemi e numero di punte in campo dovrebbero essere pertinenza sua e di nessun altro. Allegri, per non fare la fine dei suoi predecessori, dovrà essere pronto a credere nel suo lavoro a prescindere da quelli che saranno i risultati iniziali, per evitare di finire nel tritacarne dello svilimento professionale.

Una cosa è certa: al di là delle belle parole di Berlusconi e di tutto il fumo che costantemente viene gettato negli occhi dei tifosi, questo Milan oggi è una squadra che non solo è anni luce lontana dalle grandi d’Europa, ma è anche una squadra che dovrà sudare per mantenere la quarta piazza in campionato e per superare gli ottavi di Champions League.

Per cambiare le prospettive serve quello che è mancato negli ultimi due anni, ovvero i fatti come seguito alle parole: questo non è un Milan da puntellare, è da rivoluzionare in tutti i reparti, ma già cominciare da un colpo alla Ibra sarebbe un buon inizio per una rinascita che attualmente appare una mera illusione. Staremo a vedere, nel frattempo i sostenitori rossoneri di bocca buona faranno bene a ricorrere ad antiemetici in vista delle prossime puntate di mercato: non si sa mai, meglio essere pronti.

12 luglio 2010

Spagna, generazione di fenomeni

Foto Gazzetta.it
 
La Spagna è campione del mondo. E' questo il verdetto emesso nell'ultimo atto di Sudafrica 2010, che consegna alla storia la squadra di Del Bosque e rafforza l'immagine di un'Olanda incapace di trovare il guizzo giusto nell'atto finale della più importante manifestazione calcistica.

La netta differenza è che mentre i favolosi interpreti del "calcio totale" partivano nettamente favoriti sia in Germania che in Argentina (anche se lì ci sarebbe da fare un discorso a parte), stavolta i favori del pronostico erano tutti per gli spagnoli, superiori agli avversari praticamente in tutti i reparti.

In campo si è assistito al copione a cui gli iberici ci avevano sin qui abituati: possesso palla, fitte trame di passaggi, ma una difficoltà pazzesca a trovare varchi contro un avversario che faceva dell'ostruzionismo e delle randellate sistematiche a centrocampo le armi principali, grazie anche alla collaborazione di un Webb non all'altezza dell'impegno. Il direttore di gara nel primo tempo ha graziato Van Bommel prima e De Jong poi, sanzionando con un semplice giallo le entrate assassine dei due mediani olandesi: specialmente il secondo, con la tacchettata sul petto di Xabi Alonso, era rosso senza discussioni.

La gara degli orange era stata impostata così, sperando che poi le folate di Robben e Sneijder avrebbero fatto il resto, come del resto stava succedendo. Come dicevo però nel post di qualche giorno fa, il problema è che se imposti una gara lasciando l'iniziativa totalmente in mano ad una squadra di palleggiatori, il rischio è che oltre a non vedere palla, prima o poi il gol arrivi, e questo è quanto successo anche ieri sera al Soccer City.

Negli occhi dei tifosi orange rimarranno scolpiti i due clamorosi errori di Robben (in particolar modo il primo) a tu per tu con Casillas: da lì è passata probabilmente la storia di questa finale. Impossibile dirlo con certezza, ma la sensazione è che se l'ala del Bayern avesse messo dentro uno dei due palloni, a festeggiare alla fine dei 90' sarebbe stata l'Olanda, con buona pace del dominio iberico e della netta superiorità tecnica. Però non è successo, e alla luce di quanto visto mi sento di dire che la coppa è stata sollevata dalla squadra che lo ha meritato di più.

Certo, Del Bosque ha dovuto apportare dei correttivi in corsa, perchè l'undici iniziale con il doble pivote Busquets-Xabi Alonso e Pedrito accanto a Villa era tremendamente improduttivo, tanto che per gli olandesi stare sulle loro senza rischiare nulla di nulla era fin troppo semplice. Poi, la prima svolta: a inizio ripresa Navas rileva Pedro, piazzandosi come esterno destro alto, e la musica inizia a cambiare proprio grazie alle scorribande dell'ala del Siviglia. Nel finale di primo tempo arriva poi l'altro cambio che fornisce l'ulteriore dimostrazione dell'enorme arsenale a disposizione del ct spagnolo: fuori Xabi Alonso, anonimo, dentro Fabregas, che si piazza sulla trequarti in una sorta di 4-1-4-1 che moltiplica il coefficiente di pericolosità delle Furie Rosse. Proprio Cesc potrebbe consegnare la coppa ai suoi in pieno overtime, fallendo la più comoda delle palle gol, ma per sua fortuna Iniesta nel secondo tempo supplementare scaccia la paura dei calci di rigore e proietta questa generazione di fenomeni nella storia.

Dopo l'europeo, la Roja si prende il mondo con un gioco forse meno brillante di quello che 2 anni fa aveva incantato l'Europa, ma dimostrando di essere qualitativamente di un altro livello rispetto a tutte le altre. Si è visto nelle scelte di Del Bosque nel corso della manifestazione, e della stessa finale: centrocampo stellare, con Fabregas, Silva e Jesus Navas addirittura rincalzi pronti a subentrare, attacco con un Torres versione pachiderma ma gente come Pedrito "calda" per dare il cambio al Nino. Un'abbondanza quasi imbarazzante, figlia di una fase storica per il calcio spagnolo, mai così ricco di talenti come oggi.

Complimenti a loro, a noi resta l'amarezza di aver riconsegnato la coppa dopo la figuraccia più grande della storia, ma con la consapevolezza che non avremmo potuto lasciarla in mani migliori. Buena suerte, campeones.

08 luglio 2010

Spagna e Olanda, a voi due!

Foto Gazzetta.it

Per una delle due sarà la prima volta in cima al mondo, e questo è un pensiero che non può non essere ricorrente nella mente di spagnoli e olandesi, a tre giorni dalla finalissima che incoronerà la nuova squadra campione del mondo. Ci sono arrivate loro, dopo un cammino complicato, per certi versi esaltante, e mollare adesso sarebbe uno smacco mondiale, ma qualcuno alla fine al tappeto ci dovrà pur andare.

Spagna e Olanda, storie diverse che si stanno per andare ad intrecciare in una gara imprevedibile e assolutamente inedita. Per la Spagna la finale di un mondiale è una novità assoluta, mentre per l'Olanda le ferite lasciate dalla doppia beffa del '74 e del '78 sono ancora fresche, e chissà chi credeva davvero che ci sarebbe stata un'altra possibilità.

Non ha tradito il pronostico la squadra di Del Bosque, che partiva in prima fila assieme a Brasile e Argentina come pretendente al titolo. Però che spavento, dopo quell'esordio mortificante contro la Svizzera, che sembrava aver messo a nudo pecche che nessuno riconosceva alla squadra campione d'Europa in carica. Da lì in poi si è aperta la fase "dentro o fuori" con netto anticipo rispetto ai tempi previsti, e le Furie Rosse hanno vinto tutte le gare disputate: battuto l'Honduras, battuto il Cile, eliminati con tre sofferti 1-0 di fila Portogallo, Paraguay e Germania. Il tutto senza l'aiuto di Torres, vera delusione del mondiale, compensata però dallo stato di grazia dell'immenso David Villa, per il quale a Barcellona si staranno già leccando i baffi: micidiale contropiedista, sempre nel vivo del gioco, l'ex attaccante del Valencia ridarà al gioco di Guardiola quello che di fatto lo scambio Eto'o-Ibrahimovic gli aveva tolto.

Questa Spagna, come il Barça di cui il motore è costituito dai due professori Xavi e Iniesta, soffre maledettamente le squadre chiuse che fanno della fase difensiva l'unica arma da contrapporre al gioco palla a terra dei campioni d'Europa. Questa tendenza si è vista praticamente in ogni gara fin qui disputata, e persino il Portogallo, il cui calcio è sempre stato votato all'attacco e al possesso palla, nel derby iberico ha preferito giocare una gara di rimessa, snaturandosi alla ricerca dell'episodio e finendo punito da un gol irregolare di Villa. La sfacciata Germania che aveva fatto a pezzi l'Argentina ha anch'essa impostato una gara di contenimento e ripartenze, puntando più a rompere il gioco avversario che a costruire vere trame offensive: il problema è che se con l'undici di Maradona era una pacchia, vista la formazione sconclusionata e sconnessa scesa in campo, contro una squadra organizzata e che ha un solido reparto difensivo lasciare il pallino del gioco è un mezzo suicidio. Perchè se lasci il pallone tra i piedi sopraffini di quei professori per 70 minuti prima o poi il gol arriva, e le barricate vincenti come quella dell'Inter a Barcellona non sono altro che eccezioni che confermano la regola.

Curioso che il gol della finale sia arrivato grazie all'inzuccata di Puyol, visti i centimetri dei tedeschi, ma il successo spagnolo è strameritato. E adesso rimane da fare l'ultimo passo verso la storia, ovviamente Olanda permettendo.

L'approdo della squadra di Van Marwijk alla finalissima è stato accolto da più parti con scetticismo, e qualcuno ha anche utilizzato il termine scandalo, dimenticando forse come ci arrivammo noi alla finale di Berlino. La realtà è che senza un briciolo di fortuna non si va da nessuna parte, ma gli arancioni arrivano al grande appuntamento con pieno merito. Superato a punteggio pieno un girone che non era dei più complicati (ma almeno tre volte più arduo del nostro, diciamolo), gli arancioni hanno battuto senza incantare (ma senza neanche soffrire più di tanto) quella Slovacchia che ci aveva fatto piangere, il favoritissimo Brasile e l'Uruguay rivelazione, viaggiando alla media di due reti a partita (12 reti in tutto, 6 quelle subite).

Dopo aver incantato nelle amichevoli pre-mondiale, gli olandesi finora non hanno esibito un calcio spumeggiante come quello che generalmente erano abituati a mostrare, spesso a discapito dei risultati. L'Olanda vista finora è una squadra più pratica, micidiale nelle ripartenze e avente come tallone d'Achille il pacchetto arretrato, finora già bucato 6 volte. Per fortuna davanti c'è una batteria di campioni, perchè altrimenti per il ct olandese sarebbe davvero difficile far quadrare i conti. In particolare, contro l'Uruguay si è avuta l'ulteriore dimostrazione dell'imprescindibilità di De Jong, che in coppia con Van Bommel forma la cerniera a protezione delle scorribande dei vari Robben, Sneijder, Kuyt e Van Persie.

L'ala del Bayern e il "10" nerazzurro sono stati fin qui i veri trascinatori degli arancioni: il primo è semplicemente incontenibile come lo è stato durante l'annata bavarese, il secondo è il cervello pensante ed è in uno stato di grazia assoluto, uno stato nel quale trasforma in oro qualsiasi cosa tocca. E quando hai due così là davanti, essere pragmatici è un tantino più redditizio.

Per la prima volta, una squadra europea si laureerà campione del mondo lontano dal vecchio continente. Se devo sbilanciarmi su come andrà la finale, dico comunque Spagna, per quanto comunque sia una gara assolutamente aperta ad ogni esito possibile. Dico Spagna perchè la qualità che hanno loro non ce l'ha nessuno, e se riusciranno a tenere in mano le redini del gioco non sarà impossibile trovare la via della rete di fronte ad una difesa allegrotta come quella olandese. Tuttavia, i duelli tra Robben e i terzini iberici Ramos e Capdevila (vista la mobilità dell'olandese) e quello tra Sneijder e Busquets saranno tra le chiavi della partita, perchè l'Olanda ha delle armi importanti per far malissimo a questa Spagna.

Staremo a vedere, siamo all'ultimo atto: in quello che per noi italiani è stato il mondiale della vergogna, al pari di quello del '66 che ci vide uscire con la Corea, non ci resta che applaudire la prima volta di una tra Spagna e Olanda, e sperare che da settembre inizi un nuovo corso credibile e che ci faccia tornare a sognare.

04 luglio 2010

Argentina, un disastro che ha nome e cognome..

Foto Eurosport.it
Fuori anche l'Argentina, ancora più clamorosamente rispetto al Brasile, che comunque contro l'Olanda si è giocato la sua gara e tutto sommato è stato punito da due disattenzioni.

La Selecciòn è stata letteralmente asfaltata da una Germania fresca, spumeggiante, spettacolare: in poche parole, una squadra, a differenza dell'accozzaglia di punte e trequartisti messa in campo da Maradona con unico schema quello di sperare che i fenomeni lì davanti creino la giocata che sblocchi la partita.

Non c'è logica nè equilibrio nell'undici albiceleste, a conferma dell'inadeguatezza del Pibe de Oro a guidare una nazionale che aveva già faticato ad approdare in Sudafrica, e alla prima avversaria di caratura elevata è andata in panne, subendo una delle più dolorose sconfitte della sua storia. Già contro il Messico (che non è Nigeria, Corea del Sud e Grecia) ci era voluto l'errore mastodontico della terna per sbloccare una gara tutt'altro che semplice.

Il modulo argentino è un inno al suicidio: un 4-1-2-3 senza un briciolo di razionalità, con Mascherano a fare da frangiflutti davanti ad una difesa a quattro composta da 4 centrali (Otamendi a destra, orrore) e poi Di Marìa e Maxi Rodriguez, due ali, a sostenere (si fa per dire) il tridente Messi-Higuain-Tevez. Chissà, se qualcuno avesse spiegato col dovuto anticipo a Diego che non basta mettere 5 punte per dominare le gare, magari ci avrebbe riflettuto su prima di lasciare a casa Cambiasso e Zanetti, e rinunciare a Veron per 90'.

Il risultato di questo obbrobrio tattico è che l'Argentina non solo non crea nulla di nulla, ma sbanda paurosamente, concedendo ad una Germania che gioca a memoria occasioni su occasioni. Il gol di Muller (grandissimo giocatore) è il preludio alla goleada, e se Klose non fallisse poco dopo il comodo 2-0 su assist dello stesso Muller il massacro sarebbe iniziato con un tempo di anticipo.

Poco importa però, perchè l'Argentina è assolutamente inconcludente, con Messi ingabbiato e mai pericoloso da fuori a rimpiangere le geometrie e il gioco razionale del suo Barcellona. Già, perchè questa Argentina è tutta improvvisazione, e con l'approssimatività nel calcio non si va lontano.

La Germania di Low è invece una sinfonia piacevolissima. I tedeschi, col nuovo mix tra biondi purosangue e figli di emigrati come Ozil, Khedira e Boateng, si muovono sul campo con movimenti sincronizzati, perfetti sia nell'imbastire trame offensive che nel ripiegare, chiudendo tutti i varchi.

Sanno soffrire, nei primi 20' della ripresa, quando la sfuriata dei sudamericani (più coi nervi che col gioco) produce qualche grattacapo dalle parti di Neuer, colpendo poi al momento giusto con quell'animale d'area di rigore di Miro , che conclude nel migliore dei modi una magistrale azione Muller-Podolski, dando il colpo di mannaia alle residue speranze di un'Argentina sull'orlo di una crisi di nervi. Poco dopo è Schweinsteiger a fare il fenomeno, scherzando tre avversari prima di recapitare sul ginocchio di Friedrich il pallone del 3-0, e al 90' è Klose a servire il poker che dà al risultato i connotati dell'umiliazione.

Passa la squadra migliore, quella che finora ha espresso il miglior gioco e che è stata capace di rifilare 8 reti complessive ad avversarie che partivano coi favori del pronostico come Inghilterra e, appunto, Argentina, strameritando in entrambe le occasioni nonostante contro gli inglesi il gol-non gol di Lampard gridi ancora vendetta. E poi, questa Germania la cui età media è di 24 anni e 96 giorni è l'emblema di un calcio che ha saputo svoltare dopo una fase di transizione complicata e adesso raccoglie pian piano i frutti di un lavoro che ha portato finora, dal 2002 ad oggi, una finale e due semifinali. Contro la Spagna, senza Muller, per i tedeschi sarà dura, ma questi ragazzi sembra che la paura non sappiano neanche cosa sia.

Che dire dell'Argentina che non sia stato già detto. Leggendo le squadre rimaste ai quarti, sembrava che si andasse verso la finale dei sogni, Argentina-Brasile: forse stavamo sopravvalutando entrambe, o sottovalutando le potenzialità delle squadre del vecchio continente. Comunque sia, mentre il Brasile, come dicevo prima, esce tutto sommato in modo particolare dopo una gara dominata per 60', per la squadra di Maradona non c'è alcuna giustificazione, e il principale responsabile è proprio il ct che in realtà ct non è.

Mettere un totem dalle competenze quantomeno discutibili alla guida di una nazionale piena di campioni è stato un errore clamoroso, e la qualificazione al mondiale acciuffata per i capelli avrebbe dovuto far riflettere in tal senso, ma così non è stato. Si è perseverato nel portare avanti un progetto senza futuro, imperniato sulla casualità e sulle capacità dei singoli di vincere da soli una partita, coi risultati che abbiamo visto tutti.

La sua Argentina senza equilibrio esce dal mondiale mestamente, con le ossa rotte per gli scempi in serie commessi da un tecnico che non ha fatto altro che provocare da quando è arrivato al mondiale, e che definire tale è un mezzo insulto per la categoria: è il mio pensiero, sia chiaro, ma credo che oggi parecchi addetti ai lavori molto più autorevoli del sottoscritto la pensino esattamente allo stesso modo.

03 luglio 2010

Brasile, non MELO aspettavo!

Foto Eurosport.it
Che l'Olanda quest'anno fosse una formazione fortissima, si era notato dalle straripanti amichevoli pre-mondiale nelle quali gli orange avevano fatto ampio sfoggio di tutto il loro arsenale offensivo, che li rendeva una delle più grandi accreditate ad un posto nelle prime quattro del mondo.

I dubbi sulla tenuta difensiva però restavano, perchè all'abbondanza di soluzioni per i reparti di centrocampo e attacco non corrispondeva (e non corrisponde tutt'ora) altrettanta grazia nel pacchetto arretrato, imperniato sulla coppia centrale Mathijsen-Heitinga, con gli esterni Van der Wiel (giovanissimo) e Van Bronckhorst (abbondantemente over 30) migliori in fase di spinta che in copertura.

Ieri, contro il super-Brasile di Dunga e della sinfonia offensiva perfetta, sembrava che alla fine gli olandesi se la sarebbero giocata, ma che difficilmente l'avrebbero spuntata al cospetto di una squadra che all'apparenza non presentava punti deboli. All'apparenza, appunto, perchè se oggi l'Olanda festeggia una semifinale storica e il Brasile piange il suo dramma sportivo, è proprio perchè gli orange sono stati capaci di mettere a nudo le poche smagliatura di una squadra che era e rimane fortissima.

Chi ha visto il primo tempo, sa di cosa parlo. Il dominio brasiliano è totale, con azioni spumeggianti, possesso palla, solidità in mezzo e dietro e spazi concessi a Robben e compagni ridotti al minimo. Però c'è la variabile Felipe Melo, che non può non essere considerata nell'economia di una gara che vede il centrocampista bianconero in campo.

A mister 25 milioni non piacciono le banalità, non piace il lavoro ordinario: è nato trequartista, ed anche dopo esser retrocesso a mediano arretrato il piede è rimasto quello di un brasiliano. Così, al 10' si inventa un passaggio filtrante con il contagiri incredibile, che Robinho spinge in porta: gara sbloccata, e inerzia tutta a favore della Seleçao, che gioca sul velluto il resto del primo tempo di fronte ad un'Olanda alle corde.

La ripresa inizia sulla stessa falsariga del primo tempo, ma stavolta la variabile Melo fa tutto un altro tipo di lavoro. Anzichè contribuire alla chiusura a doppia mandata di una gara fin lì dominata, il centrocampista non si intende con Julio Cesar e trasforma l'innocuo cross di Sneijder nel più sciagurato degli autogol. E attorno a questo episodio, la gara e forse la storia di questo mondiale cambiano.

Sneijder corregge una spizzata di Kuyt su azione di corner, e fa 2-1 prendendosi beffe indovinate di chi? Bè risposta ovvia, di Felipe Melo, che dall'altro del suo metro e 83 si perde il nanerottolo nerazzurro, bravo a incornare sotto misura capitalizzando il regalo.

Colpito a morte e ferito nell'orgoglio, il Brasile si sgonfia, e molla definitivamente la presa quando rimane in 10 a un quarto d'ora dalla fine. Espulso ovviamente Felipe Melo, che non contento della serie di vaccate commesse fino a quel momento decide bene di prendere a calci Robben, rimasto a terra dopo un suo intervento falloso, completando così il suo campionario che lo rende uno dei centrocampisti più sopravvalutati della serie A e probabilmente dell'intero panorama internazionale.

Il Brasile così torna a casa, mentre l'Olanda di un immenso Sneijder e di un imprendibile Robben si giocherà la finale contro l'Uruguay di Tabarez, cercando di riscrivere una storia che la vede finora come una grande incompiuta. La sfortuna ha tolto all'Arancia Meccanica di Cruijff, Neeskens, Krol la possibilità di sollevare al cielo la coppa del Mondo in Germania, mentre nell'Argentina di Videla a quanto pare il primo posto era già assegnato ben prima dell'inizio della manifestazione.

Oggi, i discendenti naturali di quel "calcio totale" che rivoluzionò il modo di concepire questo sport, hanno la possibilità unica di andarsi a prendere quel pezzo mancante, con la consapevolezza che per farlo dovranno vedersela con una tra Argentina, Spagna e Germania.

Il Brasile torna a casa mestamente, in un mondiale che poteva davvero essere suo. Se il mondiale venisse vinto sempre dalla squadra migliore, probabilmente il Brasile vanterebbe in bacheca già 8 o 9 titoli, anzichè essere ancora a caccia dell'hexa: questa volta però, più di altre, l'harakiri è stato totale, ed ha in Felipe Melo il braccio armato della disfatta.

Alzi la mano chi credeva in una prematura eliminazione dei verdeoro. No, io davvero non me lo aspettavo. Anzi, non MELO aspettavo.