01 maggio 2013

Il bicchiere (più che) mezzo vuoto di Josè Mourinho


Dopo il mortificante 4-1 della gara di andata, immaginare un Real in grado di ribaltare il pesante svantaggio maturato una settimana fa in Germania rappresentava più un'esercizio di fantasia che uno scenario effettivamente credibile. Tuttavia la storia del calcio è ricca di rimonte "impossibili", e se ce l'aveva fatta il Deportivo a sovvertire un passivo analogo contro un Milan all'epoca stellare, lasciare uno spiraglio aperto al passaggio del turno delle merengues era comunque lecito, per quanto improbabile.



Il Real non ce l'ha fatta a completare un capolavoro la cui costruzione è iniziata tardissimo, fermandosi ad una sola rete da quella finale di Wembley che il Borussia nel doppio confronto ha comunque ampiamente meritato. Tolto il folle finale, la formazione di Klopp si è dimostrata superiore a quella di Mourinho per intensità, organizzazione di gioco, idee: ha sprecato moltissimo anche al Bernabeu, mancando il colpo del ko in più occasioni, rischiando poi il suicidio sportivo solo quando in campo sono saltati tutti gli schemi e l'uno-due di Benzema-Ramos ha fatto il pieno di adrenalina ai padroni di casa.

Il terzo assalto consecutivo alla Decima si è rivelato ancora una volta infruttuoso, e nel post-partita Josè Mourinho ha di fatto formalizzato il suo addio a fine stagione: la Champions League rappresentava di fatto l'ultimo anello di congiunzione tra l'uomo di Setubal e la panchina dei blancos, ma adesso all'orizzonte c'è il ritorno al Chelsea per una nuova, intrigante sfida là dove era stato amato, e allo stesso tempo conobbe l'amarezza dell'esonero da parte di quel bizzarro russo che adesso lo ha voluto a tutti i costi riportare a casa.

Questa volta però l'addio è diverso, molto diverso dai precedenti. Il Mou visto ieri non è quello scarico, ma tronfio che comunicò in modo se vogliamo anche un pò impopolare la sua decisione di salpare verso altri lidi subito dopo aver sollevato la Champions League con Porto prima, e Inter poi: è un Mou giù di corda, dimesso, forse cosciente del fatto che tante cose in questo triennio a Madrid non sono andate come si sarebbe aspettato e che il suo modo di stare al mondo non è mai stato supportato da una società e soprattutto da un ambiente che lo ha prima tollerato, poi mal sopportato, e infine rigettato.

"Qui in Spagna c'è gente che mi odia, e molti sono in questa sala stampa. Io voglio stare dove la gente vuole che io stia. So che in Inghilterra mi vogliono i tifosi, che lì i media mi trattano nella maniera corretta e soprattutto so che mi vuole un club inglese". Più chiaro di così, si muore: che quel club sia il Chelsea, poi, ormai è il segreto di Pulcinella.

I risultati ottenuti dallo Special One nella capitale iberica sono stati di tutto rispetto, ma là dove Fabio Capello fu cacciato dopo aver vinto uno scudetto senza dare spettacolo (andrebbe capito cosa intendono da quelle parti per 'spettacolo'), vincere non è l'unica cosa che conta. E poco importa se dopo sette anni di regolari eliminazioni agli ottavi di finale, il Real ha riacquistato sotto la guida del portoghese una dimensione europea da top club: tre sconfitte in semifinale, tutte più o meno legittime, costituiscono comunque un limite.

Mourinho a Madrid ereditò una squadra che con il bistrattato Pellegrini aveva totalizzato 96 punti in campionato, finendo a sole tre lunghezze dal Barça illegale, ed in due anni ha riportato la Liga nella capitale con lo score record di 100 punti. Ha dovuto convivere con il "demone" Guardiola, e con la sua creatura perfetta capace di macinare risultati e avversari, mietere consensi, guadagnarsi la luce dei riflettori: ne è rimasto inizialmente soggiogato, prima di iniziare pian piano a rialzare la testa lavorando ai fianchi un avversario che cominciava a dare segni di un lento declino. Dalla 'manita' del 2010, il processo di avvicinamento delle due maggiori realtà del calcio spagnolo è stato graduale, ma i risultati del gruppo catalano a fine ciclo sono stati comunque migliori, in questo triennio, rispetto a quelli di chi il ciclo avrebbe dovuto aprirlo, e non lo ha mai fatto. E questo fa riflettere.

Il tecnico portoghese nella sua carriera è riuscito a creare vere e proprie macchine da guerra formando gruppi inossidabili, compatti, nei quali i calciatori sarebbero stati disposti a camminare sui tizzoni ardenti qualora lui lo avesse esplicitamente chiesto per il bene della squadra. Eto'o, attaccante fuori dal comune per doti tecniche, carisma e qualità realizzative, per contribuire al progetto Triplete si sacrificò in un ruolo a lui inusuale perchè Mou riteneva fosse quella la posizione adatta nel contesto tattico che prevedeva anche Milito, Pandev e Sneijder: con Benitez, il camerunense puntò subito i piedi dicendo chiaramente che l'esterno non l'avrebbe più fatto.

Nel triennio madrileno, Mourinho non solo non è riuscito a creare uno spogliatoio d'acciaio come quelli di Porto, Chelsea e Inter, ma ha addirittura dovuto fare i conti con vere e proprie spaccature al suo interno, sfociate nella recente epurazione di un totem sacro come Casillas, ritenuto uno dei responsabili delle continue fughe di notizie verso l'esterno (ipotesi non campata in aria, visto che la fidanzata del portiere è la giornalista Sara Carbonero). Non serve un indovino per prevedere che al Real nessuno si strapperà i capelli per il saluto del portoghese, che aveva invece lasciato un profondo vuoto in quei club con il quale era riuscito a stabilire una totale (e nel caso dell'Inter, direi quasi morbosa) empatia.

Josè Mourinho a Madrid ha vinto, perchè è questo che lui fa nella vita. Ma non è mai riuscito a "prendersi" la squadra, e questo è stato forse il suo più grande fallimento. Proverà a tornare Special là dove per la prima volta si autoincensò coniando questo nickname che lo ha poi accompagnato durante tutta la sua carriera, segnando di fatto un passaggio importante del suo percorso. Torna al passato, lui che ha sempre scelto nuove destinazioni per fare il pieno di stimoli; torna dove conosce, dove sa di essere apprezzato, perchè forse questa esperienza iberica non lo ha lasciato proprio benissimo.

La bacheca blanca è oggi un pò più ricca di quanto non lo fosse nell'estate 2010, ma il bicchiere della sua gestione è un paio di tacchette sotto il "mezzo vuoto" (o mezzo pieno, che poi è lo stesso). Buon futuro, Josè.

Antonio Capone (twitter - @tonycap83)

4 commenti:

  1. Articolo molto bello Antonio...

    Devo dire che lo condivido sostanzialmente per intero. Mou ha fallito soprattutto nella gestione del gruppo in quello che finora era sempre stato il suo punto forte e credo che questa cosa un po' lo abbia segnato.

    Sul punto di vista dei risultati penso che non sia andata malissimo e la vittoria nella liga la passata stagione, contro l'ultimo barca di Guardiola, fu un grande grandissimo risultato. Ma nel complesso gli va riconosciuto il merito di avere quasi annullato un gap col Barca che prima del suo arrivò sembrava essere ben al di la dei 3 punti di cui parlava la classifica..

    In Champions penso che la grande occasione l'abbia persa l'anno scorso quando col bayern si trovò sopra di 2-0 dopo 10 minuti... Per il resto nel primo anno perse contro un Barca oggettivamente superiore mentre quest'anno ha perso più che contro il Borussia contro il suo stesso spogliatoio...

    Sante Tricarico (JUVE90)

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    1. Ciao Sante, e grazie..io credo che a Madrid Mourinho non sia riuscito a fare "il Mourinho" fino in fondo, perchè non ha avuto la possibilità di utilizzare appieno le armi che hanno sempre contraddistinto le sue gestioni vincenti. L'ambiente non lo ha mai amato, non è riuscito a far suo lo spogliatoio, e ha sofferto troppo il Barcellona per almeno un anno e mezzo.

      La Champions, come dici bene tu, l'ha persa davvero solo un anno fa..le altre due semifinali sono andate a senso unico e c'è stato molto poco da fare.

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  2. www.pianetasamp.blogspot.com

    Mah...che dirti Antonio...
    nulla da eccepire sul tuo post, tutto assolutamente condivisibile, però personalmente io faccio sempre fatica a giudicare l'operato di allenatori che hanno la grandissima opportunità di lavorare con del materiale umano di prima qualità...
    Sono sempre stato dell'idea che, più un organico sia scarso maggiore è l'incidenza che un allenatore può avere su di esso, quando alleni i top club devi essere probabilmente più psicologo e "boss" che mister vero e proprio...
    Ed è per questo che mi piacerebbe tanto, ma proprio tanto vedere allenatori abituati fin pò troppo bene dai loro presidenti ( Mou, Ancelotti, Mancini, Guardiola ), lavorare in contesti più difficoltosi, senza tanti fenomeni ad aiutare le loro gesta, ma so che il mio piccolo sogno rimarrà irrealizzabile...ciao!

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    1. Ciao Andrea, e scusa per il ritardo! Ho sempre pensato che allenare un "top" club infarcito di campioni ed una squadra in lotta per obiettivi minori siano praticamente due professioni diverse, il che tra l'altro spiega anche perchè alcuni allenatori non sono, nè saranno mai da grande squadra.

      Sull'ultima parte del tuo commento, bè credo che quegli allenatori che hai menzionato farebbero bene anche in provincia, del resto Ancelotti prima di arrivare alla Juventus allenò la Reggiana e il Parma ottenendo ottimi risultati :)

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